Lions Club Trasimeno

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19 Ottobre
Torre dei Lambardi di Magione


Per il ciclo "3 mesieri ed un territorio:
quando il mestiere era un'arte"
lo storico Giovanni Riganelli parla dei
MASTRI CALDERAI


Il Presidente del Lions Club Trasimeno, anche a nome dell'Accademia Masoliniana di Panicale, compartecipe dell'iniziativa, ha ringraziato il prof. Riganelli e Vanni Ruggeri, assessore alla Cultura del Comune di Magione, che ha presenziato alla conferenza.
E' seguito l'intervento del prof. Riganelli che ha inizialmente affermato che parlare dell’arte dei calderai, della storia di questo mestiere e dell’evoluzione dello stesso nel corso dei secoli, significa mettere in evidenza delle prerogative che non si ritrovano nella maggior parte delle attività tradizionali come i muratori,i materassai,i falegnami,i pescatori e via di seguito.
Per questi e molti altri che si potrebbero ricordare, non esiste ciò che invece esiste per il calderaio che sovente viene accomunato al faber, a colui che fa, l’artigiano o artista.
Simile accostamento, che di fatto richiama il rapporto quasi sacro con i metalli, per l’area perugina si legittima, storicamente, nel constatare l’unione dei calderai ai fabbri fin dal Trecento, quando si hanno gli «Ordinamenti delle arti dei fabbri e dei calderai».
Forse è anche per questa commistione che di fatto le notizie sui calderai nell’età di mezzo sono abbastanza rare.
Non di meno ha affermato di essere riuscito ad individuare dei soggetti, residenti nella città di Perugia, che sono indicati come calderai.
Si tratta di Alberto calderaio e suo figlio Benvenuto, menzionati in un documento del 19 novembre 1272, e di Telluccio calderaio, residente in Porta Eburnea, menzionato in un atto del 2 febbraio 1413. Queste due testimonianze, relative a dei calderai residenti in Perugia, attestano la loro presenza in città ma la stessa rimane alquanto sfuggente, anche se nello statuto in volgare di Perugia, del 1342, se ne parla.
Per avere ulteriori notizie su questi artigiani occorre giungere alla fine del secolo XVI, quando si ha un primo dato di un certa rilevanza che, in qualche modo, attesta una discreta presenza di soggetti che svolgevano questo mestiere sia nell’ambiente urbano che in quello rurale.
Nel 1582 sono ben 8 tra calderai, stagnari o pentolari che subiscono il pignoramento dei beni in Perugia, mentre sono 4 i calderai residenti nel contado. Di questi quattro si sa che uno risiedeva a Santa Maria Rossa e uno a Pila, le comunità di residenza degli altri due non sono purtroppo riportate.
Dal carotaggio da me effettuato, è emerso come, il 30 agosto 1627, nella «Congregazione della libreria», l’organo di governo della biblioteca cittadina, si deliberò, tra le altre cose, di pagare 5 scudi «a mastro Giovanni Antonio Petrossi, calderaio, per prezzo di ferramenti», oggetti che il calderaio aveva fornito alla biblioteca.
Purtroppo non si riesce a comprendere di quali oggetti si sia trattato.
Stando a quanto riportato in un lavoro relativo a questo mestiere a Città di Castello, si dice come, «nel folklore locale», resti «vivida l’immagine degli zingari calderai» che, nel secolo XIX, «lavoravano in improvvisate officine ambulanti».
Nel 1887 il sindaco tifernate si lamentò del contegno dei calderai e, agli inizi del Novecento, fu denunciata la «concorrenza continua esercitata da girovaghi, i quali liberamente sfuggivano a qualsiasi tassa, arrecando infine non lieve danno alle poche piccole industrie locali».
E veramente dovevano essere poche queste botteghe dei calderai, sia in area tifernate che nell’intera provincia di Perugia dove, sul finire degli anni ’20 del secolo scorso, si contarono 102 officine «per la lavorazione del rame e della latta».
Sul finire degli anni ’40 e nel decennio successivo prendeva vita a Magione una tradizione di ramai che è ancora viva nei ricordi di gran parte degli abitanti del luogo.